« In effetti quella che ora prende il nome di religione cristiana, esisteva già in antico e non fu assente neppure all’origine del genere umano, finché venne Cristo nella carne. Fu allora che la vera religione, che già esisteva, incominciò ad essere chiamata cristiana. »
S. Agostino
La forza prorompente del simbolo è quella di poter rimandare dal visibile all’invisibile, dal materiale allo spirituale. Tutto il mondo è “segno” del suo Creatore. In ogni fibra umana c’è traccia della Sua impronta. Talora sporcata e confusa, ma sempre un’impronta di Dio.
Ciò che il mondo sa, che sente istintivamente, forse senza neppure bisogno di doverselo spiegare, è che nel simbolo cristiano c’è una forza, un rimando talmente potente al mistero di Dio, che è davvero l’unico che possa dirsi efficace, in senso diretto o invertito. Per salire o per scendere.
Nella Messa tradizionale l’intero cosmo è presente e partecipe della salvezza che ci viene dal sacrificio di Cristo: il sole, il fuoco, l’acqua, l’olio, la cenere, l’oro, il pane, il vino, l’agnello, le stelle, i secoli, gli uomini e gli angeli… tutto è presente e salvato in Cristo.
Ora, poniamo che a Vogue e al Met si sia indifferenti alla persona di Cristo, tuttavia non potrebbero essere indifferenti alla forza del rito rovesciato, del gesto blasfemo, alla tentazione di fornire un’immagine del Paradiso, ma visto dal basso. Per un attimo, persone come Rihanna o Ann Wintour colgono un barlume di vero, salvo poi inevitabilmente ricadere in sé stesse, nel mondo in cui vivono, in “regio dissimilitudinis”, nel regno della dissomiglianza da Dio. Sia chiaro, accadrebbe a chiunque, senza la Grazia di Cristo.
Ciò che angoscia, è che alcuni uomini della Chiesa di Cristo, che dovrebbero farsi carico di annunciare al mondo la salvezza che abbiamo già ricevuto, essere strumenti della Grazia, custodi della realtà e dell’efficacia dei simboli originali, si affrettino da decenni a minimizzare e a svilire il segno salvifico in liturgie sciatte, chiese disadorne, musica banale, vesti dimesse… per poi avvallare e applaudire certe controliturgie, distese in tutta la potenza barocca di immaginario cattolico quasi-vero, ma usato al rovescio.
Coloro che avrebbero il mandato, la vera consacrazione, per battezzare il mondo in Cristo, si lasciano battezzare dal mondo, senza dire a tutte le Rihanna e Ann Wintour di questo mondo l’unica verità che rende liberi. Coloro che potrebbero usare tutti quei simboli sacri in vere liturgie salvifiche, si prestano a liturgie mondane, certificando la propria irrilevanza rispetto all’unica cosa che conta.
Si rimane con l’amara soddisfazione che l’iconografia che il mondo dello spettacolo identifica come cattolica e si disturba di dissacrare, in alcuni casi persino di bestemmiare, è quella tradizionale. Del clero in maglioncino e bandiera della pace non rimarrà traccia consegnata alla storia, neppure da mettere alla berlina, se Dio vuole.
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