Negli Stati Uniti da una quindicina d’anni a questa parte si assiste a un enorme incremento delle famiglie che decidono di educare a casa i propri figli, che fanno cioè homeschooling. Si tratta di famiglie di ogni livello di reddito e che abbracciano le più disparate filosofie educative, oltre a spaziare da un radicalismo libertario di sinistra fino a un tradizionalismo religioso ultra-conservatore.
Le motivazioni delle singole famiglie sono molto diversificate: la scarsa fiducia nel sistema educativo statunitense, oppure gli alti costi da sostenere per un’educazione di buon livello, la violenza diffusa nelle scuole, il desiderio di costruire un curriculum di studi personalizzato per ciascun figlio e non assemblato con il solo fine di superare dei test standardizzati, il desiderio di proteggere i propri figli da influenze considerate negative (promiscuità sessuale, diffusione della droga, bullismo, evoluzionismo): solo in una percentuale molto piccola di casi si tratta di provvedere a oggettive difficoltà fisiche o psicologiche dei propri figli.
Nonostante la grande varietà di motivazioni di partenza e di metodi impiegati, varie ricerche dicono che i risultati sono stupefacenti: una preparazione di gran lunga superiore alla media, maggiore capacità di pensiero individuale e creativo, maggiore capacità di socializzazione (sì, persino quello che sembra essere il cavallo di battaglia dei grandi difensori della scuola tradizionale si rivela invece un punto a favore dell’educazione familiare).
Il fenomeno è talmente in crescita che fioriscono editori e siti internet che forniscono materiale, consigli, supporto, manuale e curricola completi per homeschoolers. Non solo, le scuole tradizionali si stanno adeguando, fornendo supporto e servizi alle famiglie che fanno questa scelta. Inoltre le famiglie stesse hanno dato vita ad associazioni, club, centri di incontro, per il sostegno reciproco, per socializzare le competenze, per far conoscere tra loro i bambini, fornire alcune esperienze formative di gruppo (gite, attività particolarmente costose o difficili da sviluppare per una famiglia da sola).
In Italia il fenomeno è molto meno diffuso e certamente poco conosciuto, anche se sta iniziando ad avere una sua nicchia di interessati in internet. Ci sono alcuni blog che sono delle vere e proprie istituzioni, ci sono alcune associazioni, ma sono pochi quelli che fanno davvero homeschooling. Il motivo non è che l’istruzione domestica sia vietata in Italia, anzi: la legge la prevede sotto il nome di educazione paterna, dicendo chiaramente che l’istruzione è obbligatoria, non la scuola. Il punto è che pochissimi sono a conoscenza di questa possibilità e ancor meno sono le famiglie che, superati i dubbi di ordine personale (è la scelta giusta per noi? per nostro figlio? quanto tempo richiederà? ce la faremo economicamente? uno dei genitori è capace di occuparsene?), si sentono in grado di superare anche gli impedimenti burocratici. In questo momento si tratta di comunicare ogni anno alla scuola (o alle scuole, se si hanno figli che dovrebbero frequentare vari gradi di istruzione) la propria intenzione di istruire i propri figli a casa e di sostenere un esame finale ogni anno, secondo modalità spesso incerte (le scuole stesse non sanno bene come fare) e talora (ma non sempre) in un ambiente ostile. Inoltre in Italia non ci sono le numerose associazioni di supporto nate negli Usa, quindi è difficile trovare le informazioni necessarie, bisogna pensare praticamente da soli al curriculum da far seguire ai ragazzi, reperire il materiale… diciamo che siamo ancora a una fase pionieristica.
Non mi stupirebbe però che questa modalità di istruzione si diffondesse, sopratutto in considerazione delle molte, troppe lacune della scuola italiana. Prima fra tutte: pare che l’80% degli studenti che si iscrivono all’università non siano in possesso dei requisiti minimi per poterla frequentare con profitto (stiamo parlando di capacità di esprimersi in forma orale e scritta senza errori grammaticali, capacità di affrontare un testo complesso comprendendolo in maniera approfondita, sapendolo memorizzare e sapendolo valutare criticamente…). La soluzione è sempre più, per ogni ordine e grado scolastico, di abbassare il livello, richiedere di meno, frammentare, parcellizzare, semplificare.
Una tendenza che è come un enorme scivolo in direzione del nulla: più si semplifica e più si scopre che gli studenti abituati a questo cibo falso non sono in grado di digerire neppure il cibo (mentale) spezzettato, bisogna frullarlo, omogeneizzarlo sempre un po’ di più.
Non mi stupirebbe, dunque, che qualcuno decida di andare in controtendenza, di fare da sé, di trovare un modo per risalire la china. I modi potrebbero essere numerosi: maggior coinvolgimento delle famiglie nella scuola pubblica e nelle associazioni che se ne occupano, ricorso a scuole private molto qualificanti… ma il primo è un progetto a lungo termine (probabilmente più lungo della carriera scolastica del singolo studente) e senza garanzia e il secondo è subordinato non solo ai costi, ma all’effettiva qualità delle scuole disponibili.
In questo contesto personalmente scommetto sulla diffusione, anche in Italia, dell’educazione familiare.
Ma torneremo presto sull’argomento.
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